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Denaro e Bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità (terza parte)

SETTIMA SALA

Quello che abbiamo potuto vedere in questo nostro viaggio è sì il denaro nella sua accezione negativa ma tale denaro fu per secoli strumento dei grandi mecenati per comprare e far usufruire al mondo della bellezza.

Hans Memling Particolare con Benedetto Portinari dal “Trittico Portinari” (1487) olio su tavola Galleria degli Uffizi, Firenze

Tra i raffinati committenti di opere d’arte vi fu sicuramente la famiglia Portinari, i cui membri furono personaggi di spicco nella Firenze medicea, responsabili anche di filiali del Banco Medici all’estero ma che, proprio per le loro eccessive spese, lo fecero fallire a Bruges. Qui è ritratto Benedetto Portinari col suo Santo omonimo accanto, in un’opera del fiammingo Hans Memling, originariamente un trittico con al centro una Madonna col Bambino, oggi a Berlino.

 

 

 

 

 

Altro grande e raffinato mecenate fu Filippo Strozzi, al quale si deve anche il Palazzo omonimo che ospita questa mostra, Di Palazzo Strozzi Filippo voleva fare la più grandiosa costruzione dell’epoca, a simboleggiare la potenza della sua famiglia. Si trattò di preparativi molto complessi, dovuti non solo alla grandiosità della costruzione, ma anche al fatto che essa era destinata a modificare profondamente il tessuto urbano circostante, per il fatto che la nuova costruzione avrebbe comportato una riduzione dell’ampiezza della piazza antistante. Addirittura la data e perfino l’ora della posa della prima pietra non fu lasciata al caso. Filippo, con l’aiuto di un astrologo, scelse il 6 d’agosto 1489 alle ore 10 e 1/6 poiché proprio in quel momento saliva ad oriente il segno del leone che avrebbe portato fortuna alla casa e a tutti i suoi abitanti. In realtà non fu proprio così perché, nonostante tutti gli accorgimenti, subito dopo la morte dello Strozzi ebbero inizio i litigi fra i suoi tre figli e il palazzo rimase incompiuto.

Domenico Ghirlandaio “Adorazione dei pastori con Filippo Strozzi Bottega” (1487-1488) Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen
Lo Scheggia “Desco da parto col gioco del civettino” (Metà XV sec.) Museo di Palazzo Davanzati

Abbiamo parlato del matrimonio e del funerale come due momenti di grande dispendio, ma anche il parto non era da meno, per sfoggiare oggetti di grande finezza, anche se di uso domestico. Per esempio il cosiddetto “desco da parto” dipinto dallo Scheggia. L’artista probabilmente dovette fare i conti con il confronto ingombrante quanto inevitabile con la geniale personalità del fratello Masaccio che, pur morendo precocemente nel 1428, aveva segnato una svolta profonda nell’arte italiana. In compenso Giovanni seppe ben interpretare l’andamento del mercato d’arte che, dagli anni quaranta in città, vide un netto incremento delle richieste di commissioni private. Il tema raffigurato su ambo i lati è il gioco, perché era considerato un augurio per la coppia di fertilità. Sul fronte, in uno scenario urbano inquadrato prospetticamente, tre giovani in camicia e calze suolate stanno facendo il gioco del civettino o della civetta: il ragazzo al centro deve colpire gli altri due, trattenuti coi piedi, senza farsi colpire a sua volta. Intorno a loro altri giovani uomini passeggiano a coppia, elegantemente vestiti.

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Denaro e Bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità (seconda parte)

QUARTA SALA

Adesso addentriamoci più a fondo nel mestiere del banchiere fiorentino. A partire dal XII secolo nacquero, in molte città italiane ed europee, le prime corporazioni di arti e mestieri, che erano delle associazioni create per regolamentare e tutelare le attività degli appartenenti ad una stessa categoria professionale. I banchieri appartenevano, come abbiamo visto, all’Arte del Cambio. I cambiatori erano coloro che stavano dietro un banco (da qui i termini “banca” e “bancarotta” perché si usava spaccare il banco al banchiere insolvente), cambiando monete d’argento in monete d’oro e viceversa. I banchieri si arricchirono cambiando denaro sui mercati internazionali. E come facevano?

Con la lettera di cambio, uno strumento bancario con la duplice funzione di trasferimento di denaro e di strumento di credito; essa consente di movimentare denaro da un luogo all’altro in assenza di un trasferimento materiale di moneta, grazie solo a operazioni contabili. Per esempio, immaginate un mercante fiorentino che voglia acquistare zucchero, spezie e uva sultanina a Barcellona. Deve necessariamente inviare il denaro al suo fornitore che si trova appunto a Barcellona; gli si presenta però subito un primo e grandissimo problema: trasferire fisicamente i soldi da una città all’altra. Pensiamo infatti ai rischi e al gran dispendio di tempo che un viaggio del genere comportava a quell’epoca. E così si reca da un banchiere, che a Firenze lavoravano nel Mercato Nuovo, gli consegna il denaro e riceve una lettera di cambio: sarà quest’ultima che invierà al fornitore e sarà quest’ultimo che la porterà alla filiale spagnola della banca per riscuotere i soldi nella valuta locale. Nel caso la banca non abbia una filiale a Barcellona potrebbe appoggiarsi a quella di un istituto associato, magari in un’altra città. Un punto di forza dei fiorentini fu proprio la gran quantità di banche con filiali in vari centri italiani ed esteri. Per tutto questo meccanismo, naturalmente il gioco di squadra era fondamentale. La lettera di cambio divenne in breve anche il modo migliore per aggirare i divieti posti dalla Chiesa, attuando il rimborso del denaro prestato in un altro luogo e in altra valuta.

Lettera di cambio di Diamante e Altobianco degli Alberti a Francesco di Marco Datini e Luca del Sera, Bruges-Barcellona, 2 settembre 1398, Prato, Archivio di stato

Fisicamente la lettera di cambio si presenta con un formato ridotto ed un formulario essenziale. Su di essa sono specificati sempre la data di emissione e il numero dell’esemplare emesso, ribadito anche sulla “busta”, poiché la prassi prevedeva l’invio di più esemplari (fino a quattro), per garantire l’arrivo a destinazione di almeno uno di essi a causa della possibilità di smarrimento e dell’insicurezza delle vie di comunicazione. Solo l’esemplare giunto per primo a destinazione veniva validato.

In questa sala troviamo i “ferri del mestiere” del banchiere-mercante, per esempio i manuali come il “Libro di Mercatantie et usanze de paesi” della fine del ‘400. Questi testi ricchissimi di informazioni di ogni tipo costituiscono un genere letterario, denominato le «Pratiche di mercanzia», che si diffuse a partire dal Medioevo nelle metropoli italiane del commercio e in particolare a Firenze, Genova e Venezia. Erano compilati da mercanti come guide per scopi commerciali e vi venivano descritte le varie piazze commerciali europee e mediorientali; le loro condizioni economiche, come la moneta in corso e le altre valute accettate; le misure usate e il relativo valore; i prodotti disponibili e la loro qualità. Si presentavano come “volumetti”, di formato ridotto, adatti per essere portati con sé nei viaggi e utilizzati non solo dal mercante ma anche dal viaggiatore-turista per le migliaia di informazioni utili e pratiche.

Marinus van Reymerswaele “A Moneychangr and His Wife” (1538) olio su tavola 31×42 Madrid, Prado

Il dipinto raffigurante una famiglia di usurai di Marinus van Reymerswaele ci presenta proprio tutti gli strumenti che utilizzava il banchiere per l’esercizio del mestiere e che ritroviamo “dal vero” nella vetrina davanti. I due personaggi appaiono intenti a contare con avidità i denari sparsi sul tavolo in primo piano. Abbiamo già potuto osservare come quella della raffigurazione dei banchieri sia un genere d’arte che ebbe molto successo nella prima metà del ‘500 in area fiamminga anche per i suoi caratteri fortemente simbolici volti a dare precisi messaggi morali. Infatti qui vediamo un’attenzione particolare dell’artista nel rendere le mani dei due protagonisti: segnate dagli anni quelle dell’uomo, che si accinge a verificare il peso di una moneta sulla piccola bilancia, più candide, ma quasi rapaci, come degli artigli, quelle della moglie, che tiene il libro per la contabilità. Sullo scaffale alle loro spalle, vi sono splendidi particolari di ‘‘natura morta’’ nelle lettere, nei fogli e negli oggetti di uso quotidiano posti disordinatamente, mentre fortemente simbolica è la candela spenta, posta sulla destra ma posizionata non a caso tra i due coniugi, allusiva alla brevità della vita.

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