Mi presento, eccomi, mi chiamo Ambra Nardini. Attualmente sono un po’ più grandicella ma qui sono piccolissima, ho qualche mese in due disegni di mio padre.
Mi sono avvicinata all’arte proprio grazie a lui, Luciano Nardini, in arte Bonafede. Tra i ricordi più belli che conservo nel cuore è lui indaffarato su, nella soffitta polverosa della mia vecchia casa in centro, tra i colori e l’argilla con cui modellava sempre nuove forme. Era per me una stanza magica e affascinante, mi sembrava come il laboratorio di un grande mago così piena di cose piccolissime ed enormi, di scatoline misteriose, oli, pennelli… Con il passare degli anni quella magica soffitta si è svuotata sempre di più, fino a quando non è rimasta solo la polvere e il ricordo confuso che un giorno vi abitò qualcuno. I miei genitori si lasciarono e di loro insieme è rimasto solo un quadro di mio padre con lui che le fa da ombra dai mille colori ribelli dietro, entrambi di profilo: lui con, come unico segno distintivo, il rigoglioso ciuffo dei suoi lunghi capelli e lei esaltata nella sua carnagione rosea, avvolta in uno splendido mantello perlaceo.
In famiglia mio padre non è stato il solo amante della pittura, avevo anche un pittore paesaggista, Salvatore Vassallo, da tutti chiamato Totò, fratello del mio amatissimo nonno, Vincenzo Vassallo.
È da mio nonno che ho imparato la passione per la lettura e lo studio in generale. Lui che, siciliano, arrivò giovanissimo a Prato per trovare lavoro e di giorno lavorava come un pazzo mentre la notte studiava da autodidatta. E studiava tutto, dalla letteratura alla matematica, alle scienze. E amava studiare talmente tanto che si ammalò pure per la stanchezza fisica. È di lui che ho maggiori ricordi di quando ero piccola, quando mi teneva sulle gambe o mi portava a girare per Prato e io correvo dietro i piccioni o mi addormentava raccontandomi storie fantastiche… La cosa che più mi meravigliava è che non mi leggeva mai le favole ma le inventava sempre sul momento, ed erano così belle che nessun libro avrebbe potuto fare meglio.
Quando mi sono sposata è entrato a far parte della famiglia un altro pittore paesaggista, mio suocero, Pierluigi Nenciarini.
Iniziai a dipingere anch’io, giovanissima, forse per imitare mio padre o per sentirlo più vicino o per rivivere affetti passati. Il mio primo disegno fu una tigre che coccola il suo cucciolo e poi scoprii che fu il primo dipinto che fece anche mio padre, ripreso a modello da un libro di animali selvaggi.
Adolescente insicura, dipingere era il mio sfogo potevo dare forma al mio mondo e alla mia fantasia.
Dal 2007 lavoro nel settore dei beni storico-artistici come operatrice didattica e guida museale. A Prato ho lavorato: Museo dell’Opera del Duomo, Museo di Pittura Murale, Museo del Tessuto; Castello dell’Imperatore; Cassero Medievale; Palazzo Datini; Palazzo Banci Buonamici; Palazzo Pretorio; Saletta espositiva Valentini. A Pistoia ho lavorato a Palazzo Fabroni. Attualmente collaboro con la Sezione Didattica del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci a Prato e lavoro con la Cooperativa Giodò presso la Galleria civica dedicata all’arte Contemporanea di Montecatini Terme, il Moca.