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La libertà di esprimersi

Foto ripresa dal Laboratorio di Arteterapia Parkinson

Si parte da una gestualità istintiva.
Le mani vanno lasciate andare da sole. Sanno dove andare, perché hanno memoria, conoscenza, desiderio di muoversi e di esplorare. Non hanno bisogno di essere guidate: chiedono solo fiducia.

Anche quando, a posteriori, il lavoro gestuale iniziale può non piacere, è proprio lì che accade qualcosa di fondamentale. Quel primo gesto istintivo è una soglia: porta a far emergere il profondo di sé. Il caos, quasi sempre, genera qualcosa di interessante. È una materia viva, in trasformazione.

“A guardarlo, sembra un vulcano: da dentro esce lava, ma non è scura, non è distruttiva. È colorata, fatta di tanti colori diversi, come se ogni strato emotivo trovasse il suo spazio per affiorare” L.C. (Lab di Arteterapia)

“Per molto tempo mi sono detta: non so disegnare, non ho fantasia. A scuola l’arte era sempre un brutto voto, e quando succede abbastanza volte, ci si arrende. Si finisce per credere a quella frase: tanto non so. E ci si porta dietro questa convinzione anche dopo sessant’anni” S.P (Lab di Arteterapia).

“E invece questi segni arrivano senza che io li vada a cercare. Non li progetto, non li controllo. Vengono fuori da soli” D.S (Lab di Arteterapia).
È un processo.

Il foglio bianco all’inizio è un muro. Spaventa. Ma basta trovare un primo appiglio, un aggancio minimo, e da lì qualcosa inizia a muoversi. Piano piano. Senza forzature.

Quello che emerge è libero, imprevedibile, organico.
Come la natura.

Se non lo capisco non mi piace: imparare a vedere l’arte

Molte persone che vengono a visitare musei di arte moderna o contemporanea esordiscono con questa frase: “questo lo saprei fare anche io!” oppure vogliono sapere a tutti i costi il significato dell’opera che vedono. E se la risposta non li soddisfa pienamente si innervosisce o continua con: “io queste cose proprio non le capisco”.

L’artista Margherita Manzelli, che espone al Centro per le Arti Contemporanee Luigi Pecci di Prato fino all’11 maggio 2025, ha detto una cosa molto significativa in una sua intervista: “Non credo in tutti i discorsi intorno alle opere d’arte: spiegare tutto a tutti i costi può essere dannoso”. Noi vogliamo sempre spiegare tutto, etichettare le cose, dare un nome a tutto ma ci sono cose che vanno aldilà dell’espressione verbale, aldilà di un significato univoco, di una definizione. Tra queste cose vi è l’arte. Chi vorrebbe mai spiegare un brano musicale, per esempio di Beethoven? Lo si vive e basta, con tutte le emozioni diverse che a ognuno di noi suscita. Eppure in arte si pretende di capire, a tutti i costi, per arrivare invece ad ottenere di inserire inevitabilmente il freno a mano alla nostra libertà di percezione, di sentire con il corpo, con i sensi, con la propria storia emotiva. Fare esperienza di pratiche artistiche ed espressive al museo è stimolante e arricchente per tutti perché, quando le persone si rendono conto del potere di tutto questo processo che possiamo vivere insieme intorno alla libera espressione dell’artista come di sé stessi, allora veramente si impara anche a vedere, a percepire. Si impara a utilizzare l’arte per il suo vero e fondamentale ruolo che nella vita di tutti noi può avere, nessuno escluso: quello di stimolare l’immaginazione, la riflessione, la memoria, la creatività personale, la propria unicità. Non ha importanza se una cosa piace o non piace, un’opera d’arte non deve piacere a tutti e, dico di più, non deve per forza piacere. Chi fa arte per piacere agli altri quello che ottiene è solo frustrazione e inconsistenza. L’arte esiste perché esistiamo noi, esseri umani bisognosi di comunicare e mettersi in relazione con noi stessi e con il mondo che ci circonda. C’è stato un periodo in cui tutti noi lo sapevamo bene. C’è chi ancora ha la fortuna di sperimentarlo tutti i giorni e ce lo possono ricordare: i bambini.