Archivio mensile:Dicembre 2025

La libertà di esprimersi

Foto ripresa dal Laboratorio di Arteterapia Parkinson

Si parte da una gestualità istintiva.
Le mani vanno lasciate andare da sole. Sanno dove andare, perché hanno memoria, conoscenza, desiderio di muoversi e di esplorare. Non hanno bisogno di essere guidate: chiedono solo fiducia.

Anche quando, a posteriori, il lavoro gestuale iniziale può non piacere, è proprio lì che accade qualcosa di fondamentale. Quel primo gesto istintivo è una soglia: porta a far emergere il profondo di sé. Il caos, quasi sempre, genera qualcosa di interessante. È una materia viva, in trasformazione.

“A guardarlo, sembra un vulcano: da dentro esce lava, ma non è scura, non è distruttiva. È colorata, fatta di tanti colori diversi, come se ogni strato emotivo trovasse il suo spazio per affiorare” L.C. (Lab di Arteterapia)

“Per molto tempo mi sono detta: non so disegnare, non ho fantasia. A scuola l’arte era sempre un brutto voto, e quando succede abbastanza volte, ci si arrende. Si finisce per credere a quella frase: tanto non so. E ci si porta dietro questa convinzione anche dopo sessant’anni” S.P (Lab di Arteterapia).

“E invece questi segni arrivano senza che io li vada a cercare. Non li progetto, non li controllo. Vengono fuori da soli” D.S (Lab di Arteterapia).
È un processo.

Il foglio bianco all’inizio è un muro. Spaventa. Ma basta trovare un primo appiglio, un aggancio minimo, e da lì qualcosa inizia a muoversi. Piano piano. Senza forzature.

Quello che emerge è libero, imprevedibile, organico.
Come la natura.

I miei deserti

Dalla serie “I miei deserti” – Acrilici su carta telata

“Ho imparato a rispettare i miei deserti, senza voler essere per forza, e sempre, un giardino fiorito.”

Ho incontrato questa frase di Emanuela Pacifici e l’ho sentita subito come una verità intima, necessaria. Da qui nasce il racconto di una serie di opere pittoriche dal titolo “I miei deserti”.

I miei deserti sono spazi infiniti, senza inizio né fine, come quelli della mente, del sogno, della meditazione. Sono luoghi interiori che parlano di silenzio e vastità, e raccontano quella sensazione che a volte ci attraversa davanti alla natura: un paesaggio immenso e maestoso che, con la sua potenza, è capace di azzerare tutto.
Le preoccupazioni, la frenesia quotidiana, l’affollamento della mente, la sensazione di sopraffazione, il peso dei “doveri” che la nostra società ci impone.

Una società che ci vuole tutti uguali, sempre perfetti, sempre sorridenti, sempre performativi. Al massimo.
Così finiamo per volerci anche noi: ci obblighiamo a essere in un certo modo per sentirci accettati, adeguati, all’altezza.

La pittura dei deserti nasce come uno spazio di resistenza a tutto questo. Insegna a riconoscere le nostre fragilità, ad accorgercene senza giudizio, a coccolarle e a prendercene cura. È un lavoro su sé stessi tutt’altro che facile o banale, perché nell’esperienza artistica, come nella vita, siamo spesso noi i primi a giudicarci, a pretendere di fare sempre “bene”, sempre il massimo, sempre qualcosa di “bello”.

Ma cosa significa davvero fare bene? E cosa significa fare del bello?

La pittura dei deserti allena alla consapevolezza che queste idee sono spesso astrazioni che ingabbiano la creatività e ci allontanano dalla possibilità di riconoscere la felicità. Una felicità semplice, presente, che esiste qui e ora: nel processo, nel movimento, nella sensazione del corpo e dei sensi.

Non si ha sempre voglia di sorridere.
Non si ha sempre voglia di essere forti, prestanti, luminosi.
Non si è sempre un giardino fiorito.

E va bene così.

Ama i tuoi deserti.
Immensi, silenziosi, poetici.